Il bambino che giocava con un pezzo di legno.

 

 

 

E' un titolo che ho in mente da anni. Almeno 12. Voleva essere un racconto, poi pure un romanzo. Insomma uno scritto. Invece è rimasto solo un concetto nemmeno ben sviluppato. Perchè non riuscivo a sviluppare un embrione di qualcosa che non ero in grado di definire. o meglio, non ne avevo il coraggio. Sono sempre stato convinto che nei bambini ci sia un'oggettività che poi perdiamo progressivamente crescendo, per i continui solleciti che ci portano a resistere, a rafforzarci esponendo sempre meno. E arrivi corazzato e rafforzato solo in apparenza, semplicemente "da grande" sei solo meno permeabile. Ti fai andare cose, o non te le fai andare. Bianco o nero, senza sfumature. O ti annebbi di sfumature quando il passo decisivo è "o bianco o nero".  Ma non scegli per definizione, non lo senti in verità. Lo devi mediare con il resto del tuo mondo.

I bambini invece assorbono, "mi piace" e "non mi piace" è solamente un istante, un istinto. Cambiano idea come gli pare, fino ad un momento va bene la pasta al pomodoro, poi solo con il parmigiano. Perchè succede? Perchè gli va bene cosi. Senza sovrastrutture e se ne fregano, se sei stato due ore a fargli la cena.

In fondo, chi te l'ha chiesto il risotto con i funghi?

Al mare, un giorno troviamo il pezzo di legno. E Nico lo fa diventare una barca, una macchina, un aereoplano. Ce lo siamo portati a casa, rigiocato al mare, e lo abbiamo in macchina per la prossima gita.

Rivedo la vita in base ai suoi occhi, che si perdono in oggetti, orizzonti e colori. 

Quel pezzo di legno è un concetto. Poi serve il coraggio di viverlo, e di immaginare la barca, la macchina o l'aereoplano. Quel coraggio che ha lui. 

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