Perchè mostriamo la nostra felicità? (Parte 1)


La domanda non è mia. Mi è stata posta. Ed è una domanda tosta. Io sono quello delle domande, me le faccio e le faccio. Credo che nelle domande ci siano le svolte, in base alle risposte. Questa, invece, è una domanda bastarda perchè prevede una risposta mia, e una visione esterna. Di ciò che vedo, di ciò che non voglio vedere, e delle critiche possibili all'analisi per punti che provo a fare. 

Rappresentiamo la nostra felicità. Selfie, autoritratti, feste, intimità. Nella rappresentazione stessa si rischia l'esaurimento del momento. O che il momento diventi pretesto per la sua rappresentazione. 

Procedo partendo dall'ipotesi più semplice. 

- Sono felice per davvero. E allora perchè mostrarlo? Probabilmente per rendere partecipi gli altri. Come ad una festa di fidanzamento o quando inviti gli amici a cena per far conoscere la tua nuova fidanzata. Per una certa condivisione della tua vita con le persone che ti vogliono bene. E ci possono pure stare le storie su Instagram e i post. Ci possono stare. Ma ci devono stare? O meglio, quanto ci si chiede sull'opportunità di farlo? Il semplice "Perche?". Lo stesso "Perchè" che dovrebbe accompagnare un'azione, anticiparla. Non una domanda filosofica, di quelle che ti inchiodano per del tempo inutile. Ma una domanda che ti renda consapevole. Mi sa che la rappresentazione social non preveda domande. Ma prevede la partecipazione e basta. Sei fuori, o dentro. E se sei fuori, un pò non esisti ( o almeno così si crede). 

Posizione di mezzo. 

- Faccio vedere agli altri di essere felice. Ovvero, sono single mi riempio di feste e amici e cucino per me stesso. Storie a palate su tutte le piattaforme. Facciosportvadoagliapericenaevedoggente. Sport tipo arrampicata ( che il calcetto fa sfigato), apericena per ricchi (sennò fa povero), gentecheconta ( altrettanto soli). Ma se sorrido, sono con una figa, faccio festa, allora è tutto ok. SONO FELICE. O forse no, ma se mostro di esser felice lo sono.  Ho ancora una speranza se almeno a me stesso, chiuso in bagno oppure a letto prima di nanna, ammetto che non sono felice per nulla. 

Posizione tragica. 

- Sono felice in quanto lo mostro. Ovvero, non lo sono. Ma un selfone me lo faccio lo stesso. Bello intimista, possibilmente raggomitolato. In un angolo. Oppure corpo, senza alcun tratto identitario. Bianco e nero con molto contrasto. NON sono felice. E lo mostro. 

Tutte queste sfaccettatute spesso sfumano tra loro. 

Ma perchè postiamo la nostra felicità o presunta tale sui social?

Anzitutto perchè siamo noi il prodotto dei social. Siamo noi ad essere venduti. Da ciò che so e da ciò che ho letto, il tutto è nato in un garage o cantina con lo scopo di mettere in contatto studenti dell'Università di Harward tra loro. Doveva integrare la vita consueta agevolando i contatti. Poi il tasto "mi piace" lo ha trasformato in altro. E parlo di Facebook. Un modo di vivere.

Altra storia Instagram. 2010, piattaforma fotografica. 2022, un modo di vivere. Un successo planetario, un fallimento, almeno in parte, fotografico. La foto del Signor Eisenstaedt l'ho cercata. Il suo profilo chiaramente non c'è. In alcuni profili/tributo l'ho vista. Avrà qualche centinato di like in tutto. Lo stesso numero di due piedi su un lettino al mare e di certo meno di un pezzo di capezzolo nel bagno di casa di una casalinga annoiata.

Grave? No, non è grave, misura in qualche modo la qualità del nostro tempo.

In effetti il tutto funziona a popolarità. Al chi segue chi. Nascono coppie e nascono crisi di coppia. Un like messo o non messo diventa un problema. Il tag che puo' diventare una dichiarazione di intenti oppure la negazione volontaria di appartenenza. Un post diventa una conversazione. 

In verità, ridimensionando una eventuale critica che stavo innescando, il tutto si limita ad una sola valutazione. Solo solo mezzi. Per tanti di noi sono diventati invece un surrogato in cui si puo' essere altro.

Gestendo per bene la cosa puoi avere più vite facendo vedere solo ciò che preferisci.  

Ma la vita vera non è la stessa cosa? I reality non erano la stessa cosa? Milioni di persone che ne guardavano una decina fare un qualcosa, dal divano. Gli attori mettono in scena spesso il peggio di se stessi, per dei divanati che ne parlano poi tra loro fino alla puntata successiva. 

Sui social è uguale. Gente che fa cose, e pure fotografie, che viene guardata e chiacchierata da altra gente che magari non fa cose e nemmeno fotografie. 

Certo che l'ho fatto anch'io, cosi stronco la critica eventuale. Sono un prodotto pure io. Della Apple, di Facebook e pure di Instagram. Saperlo mi mette al riparo solo un pò. 

Anzi, cazzeggiando un anno fa e facendo danni qua e la ho trovato anche belle persone. 

Simona è apparsa proprio la, nel mezzo del cazzeggio. 

Barbara, che mi ha posto la questione, pure. 

L'ho chiamato (Parte 1) perchè, Barbara, non ho risposto. Anzi, mi sono appena incasinato per bene in un discorso sconnesso, scoordinato e inconcludente. 

Un labirinto insomma, di quelli che fanno paura ma non puoi fare a meno di entrarci. 

A breve la parte 2, e forse pure la 3. 

Per scrivere ho dovuto fregarmi un pò. Iniziare, per poi dover costringermi a continuare e dare un senso alle eventuali cazzate. Tante.


Immagine in evidenza V-J Day a Times square, New York, 15 agosto 1945 – The LIFE Picture Collection/ Alfred Eisenstaedt/ ©Gettyimages

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Commenti

  1. Un conto è la condivisione(e ci può stare!) perché siamo "animali sociali" un conto l'esibizione ossessiva e totalizzante di quello che si è o si fa.Addirittura decidere che certe foto ( o pose) siano il paradigma della felicità ,dell'amore quando poi questi sentimenti così profondi e sacri vivono solo dell'intimità impenetrabile dei soggetti coinvolti!

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    1. Ne sono assolutamente certo della completa inutilità. Ma non voglio stare fuori dal gioco di cercare di comprendere chi lo fa. Un evento, un sentimento, un fatto, esistono se condividi. E come si creano le fake news, che diventano “real” in quanto social e condivise (in realtà rimbalzate, la condivisione è altro) esistono anche i fake feelings. Veri in quanto “postati”. E senza tirarmici fuori, l’ho fatto pure io. Poi la fantomatica domanda “perché?”, e la spesso il palco non regge

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  2. Il progresso tecnologico è inevitabile.
    Spesso un' evoluzione utile,a volte no.
    Il no lo riservo all' amplificazione che ha prodotto delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti;perché amplificando attraverso la condivisione si è perso il confine tra ciò che sento davvero e ciò che,con il ritorno di visibilità e quindi di reazioni esterne,credo di sentire.
    E perdere il confine è deleterio e intrigante allo stesso tempo.
    Ti è stata posta una domanda bastarda davvero!

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  3. Domanda bastarda. Aspetto la seconda parte. Anche se intravvedo ( conoscendoti ...) Già la risposta.
    Per quanto mi riguarda sono un' ingenuotta che forse su queste cose riflette poco. Mi piace condividere le cose belle e anche i sentimenti. C'è tanto brutto in questo mondo che mi piace dare un po' di sana leggerezza e speranza.
    ( Forse per me è stato il cancro a farmi cambiare atteggiamento)
    ho usato il mio profilo all' inizio della malattia in cui tutto era nero e senza futuro per vivermi il presente, fatto di piccole cose. Un fiore , u a torta riuscita, un sentimento sbocciato , u. Ricordo caro.
    Ho condiviso attimi di vita per rasserenare. E poi è diventato il diario di nuove consapevolezze che questa tempesta ( per fortuna ) mi aveva portato. E pazienza se ho sbattuto in piazza il nostro, se ho mostrato sentimenti profondi, se ho parlato con leggerezza di me.
    Andava fatto. E ne sono orgogliosa.
    Continuo a farlo ma confrontandomi con nuove domande...e con una vita che un' altra volta cambia.
    Continuerò a fai? Chissà...tutto può succedere...anche di chiudere tutto e vivere!

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