Perchè mostriamo la nostra felicità? ( Parte 2 ) - la parte infelice


 Mostrare felicità o infelicità sono necessariamente due facce della stessa medaglia. Non cambia per nulla l'essenza. Ci mostriamo allegri, ci baciamo, coccoliamo i nostri animali, educhiamo i figli. E lo mostriamo. Stiamo bene o stiamo male. 
Facciamo cose, normali banali e pure noiose spesso, ma le condividiamo. Non ci relazioniamo, ma condividiamo. Non cerchiamo una persona, ma appare. Non ci ricordiamo di qualcuno, ma qualcuno ci ricorda la sua esistenza. Un classico " non ci sentiamo da tanto" potrebbe far nascere una la domanda spontanea " ma ci sarà un perchè?". Poi alla parte social corrisponde una parte invece "direct". Arriva una foto, un commento. Sotto una batteria di battute, " sono d'accordo", "forza fatti coraggio", " hai ragione", " avanti tutta" ed altre ovvietà trascurabili. Poi la parte "direct", solitamente degli stessi opinionisti. E in privato, tutta altra versione solitamente. 
Praticamente una metafora della vita di provincia, solo agevolata dal fatto che produci il tutto dal salotto o dalla camera da letto o dal cesso. 
Non fai nemmeno più fatica. La connessione 4 5 6 G supera la fatica. La rende vana. Quasi stupida. 
Ma non lo è. Perchè la fatica ti fa riflettere, ti fa meditare e ponderare. Ti evita figure di merda per aver agito troppo in fretta, troppo fuori misura, troppo e basta. 
Io ci sono cascato spesso, mica sono esente. Anzi, comprendo la comodità che un messaggio ti da rispetto ad una telefonata. Figurarsi rispetto al vestirsi, uscire di casa, prendere la macchina, cercare parcheggio. Vedersi al bar e parlare guardandosi negli occhi. Perchè li, in quella dimensione a due tre quattro o tanti, cambia tutto. 
I gruppi social. Ancora peggio. Una tragedia da vietare. Uno scrive una informazione che riguarda molti, e parte un "fuori tema" generale con collegamenti uno sull'altro per cui dopo quattro passate di dito a scorrere, non ci capisci più un cazzo di chi ha risposto a cosa. 
Il punto è che la fatica è necessaria. Confondiamo perdere tempo a scrivere minchiate sui social con il fare le cose. Lì, in effetti puoi raccontare o mostrare ciò che fai. Ma non puoi pensare che "fai". Non fai un cazzo. Mi ricordo il paradosso del programma "Grande Fratello", in cui 10 personaggi più o meno noti vivevano ( o vivono, forse esiste ancora) in una casa senza relazioni con l'esterno ma solo tra loro. Bene, in 10/15 facevano cose in una casa protetta. Qualche milione di altri personaggi dal divano guardavano il programma. Leggiamola. Milioni che non fanno un cazzo sul divano che guardano 10/15 persone che fanno qualcosa. Qualcosa di perfettamente inutile, certo, ma di sicuro più attivi di quelli che guardavano. Togliamo dal ragionamento la prima e forse la seconda stagione, in quanto esperimento sociale. 
Quindi la domanda è la seguente. Perchè? 
Perchè è più facile, di certo. 
Perchè costa poco, troppo poco. La democratizzazione dell'espressione delle opinioni. A cazzo, spesso. Pure le mie, of course.
In più per un motivo che, se ne prendi coscienza, può cambiarti la visione. E forse la vita.
Perchè hai l'illusione di essere meno SOLO. E se lo vedi, se guardi in faccia questo aspetto, sale pure un pò di angoscia. 
La condivisione ti illude di essere meno solo. Un like, un commento inutile, una visualizzazione, ti crea "amici". Cosi si chiamano, ma credo che a 50 anni se ne hai 5 hai già portato a casa un risultato meraviglioso. 
Conosci gente meravigliosa. Di cui non sai un cazzo. Poi, di culo, qualcuno buono ce n'è di sicuro. E ci mancherebbe, statistica. 
Mi ricorda il claim dei sofficini, "amici in 5 minuti". 
Non ne esci riflettendo, ma re-iniziando a fare fatica. A fare cose. A non avere tempo da buttare. 
Il tempo perso, un dramma. Io provo a impiegarlo.
Ma io sono io e continuo a sbagliare. 
E a fare cose. Pure, e spesso, sbagliate.

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