Fastidio e condivisione.

 


Riflettevo in questi giorni sull’enorme risorsa che possono essere i nostri fastidi. Allora sono partito dall’analisi di fastidio. 

 – 1. a. Senso di molestia per cosa che dispiace o che mal si sopporta: darerecaresentire f.; b. Noia, uggia, disgusto, sazietà: averepigliare in funa persona o una cosac. Dispiacere, preoccupazione molesta, sofferenza, o anche ciò che è causa di dispiacere e preoccupazione o che provoca sofferenza; d. Lieve disturbo o malessere fisico: non devo bere perché gli alcolici mi danno fastidio al fegato2. Ant., con senso concr. ed eufem. (solo al sing.), immondizia in genere.

Estratto da (https://www.treccani.it/vocabolario/fastidio/)

Lasciamo perdere la questione più personale del fastidio, che forse riporta all’ antipatia o meramente all’incompatibilità epidermica. Il fastidio personale, la vera sensazione di fastidio verso un gesto, verso un odore, verso un atteggiamento ovvero ad una serie di gesti concatenati. Oppure pensiamo al disturbo fisico, determinato da un alimento o una bevanda oppure da una stanza, da una presenza. 

Tutti fastidi a cui siamo soggetti quotidianamente, e uno degli insegnamenti della vita e del mondo sociale e’ quello di resistere, di farci l’abitudine. Il solito mal comune mezzo gaudio che cito spesso e che amo, quanto tento di rifuggire. Il fastidio lo proviamo tutti, dalla mattina alla sera. Al lavoro, al bar, al supermercato, in fila per fare benzina. Perché non funziona il bancomat, perché hai perso una password, perché non ti ricordi un pin. Perché non ti piace il collega di ufficio, perché il caffè non è buono come quello che fai tu. Perché l’impaginazione di un file non ti piace, o perché non trovi il colore di maglione che stai cercando. 

I motivi per avere e provare fastidio sono innumerevoli. 

E facciamo spesso un errore enorme. Ne parliamo. 

Cerchiamo comprensione, condivisione, dispiacere pure. 

Ne parliamo. Sputiamo il veleno o il rospo che sia. Ne facciamo una questione sociale, comprensibile perché magari, si spera, condivisa. 

E poi proseguiamo allo stesso modo di prima ma con un fardello apparentemente più leggero. Fino al prossimo peso. Ma la conta così è sempre contro di te. Proprio come il peso. Dimagrisci un chilo di dieci che vuoi perdere. Poi mangi le patate fritte e la torta della nonna. E lo riacquisti. Poi vai in palestra e lo perdi, quattro drink con gli amici e lo riprendi. Non te ne liberi mai. 

Ne parli, diventa una dichiarazione di intenti, la sfoghi, ma non punti all’orizzonte. 

Credo sempre più che il trattenere il fastidio sia una salvezza. Osservarlo che si allarga, che permane, oppure cosa o chi lo faccia scemare. Lasciare in pace il fastidio. Lasciarlo fare ciò che gli è proprio. Ovvero farci capire, semplicemente, che qualcosa non va. 

Se lo scarichi e aspetti che si ripresenti non fai altro che reiterare il fastidio stesso.

Se lo trattieni, cova, si alimenta, ti descrive la sua origine. Puoi intervenire sul fastidio, non alleviarlo. 

La dichiarazione di intenti è un bluff, un trucco e pure da quattro soldi. Puoi fare le cose solo facendole, rischiando. Abbandonando il lido fastidioso ma conosciuto e quindi apparentemente meno insidioso. Ma solo apparentemente, e non è difficile rendersi conto che lunico modo per scoprire nuove terre è navigare in mare aperto. 

Il fastidio derivato da una cosa, un gesto, o una persona, deve spostarci. 

Parlandone troppo resti semplicemente dove sei. 

Ascolta il tuo fastidio, in verità stai parlando con te stesso.

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